C’è una nuova generazione di uomini che chiede di esercitare il proprio diritto alla paternità e che sistematicamente vede questo diritto negato. Parliamo di padri che hanno voglia di esserci, di costruire un rapporto quotidiano con i loro figli, dando il proprio contributo per l’inserimento all’asilo nido o per le visite dal pediatra. Richieste che faticano ad attraversare il canale, strettissimo, del congedo di paternità obbligatorio. Ovvero: 10 giorni retribuiti di assenza dal lavoro, fruibili dai 2 mesi precedenti alla data presunta del parto ai 5 successivi. Passati questi 10 giorni, la genitorialità si trasforma, di fatto, in maternità, ovvero sono le donne a diventare, di diritto, le principali responsabili del nuovo arrivato o della nuova arrivata in famiglia.

Una prassi che, secondo l’ultima indagine realizzata dall’Osservatorio D di Valore D e SWG, risulta del tutto anacronistica, tanto che quasi l’80% degli uomini ritiene «totalmente inadeguato» il congedo di 10 giorni. Ben 3 uomini su 5 vorrebbero poter usufruire di un congedo di paternità esteso da 1 a 3 mesi, in modo da essere più presenti alla nascita (per il 38%). Il 79% degli uomini e l’81% delle donne considerano il congedo di paternità positivo per l’equilibrio e il benessere generale della vita e della coppia, il 77% degli uomini e l’80% delle donne lo ritengono utile per la crescita personale e lo sviluppo come genitore.

Il diritto di essere padri

I nuovi papà, dunque, ribaltano la prospettiva: poter vivere la paternità e cogliere l’opportunità di creare un legame forte con i propri figli, è un diritto, non un dovere. Ancora una volta, un segno fortissimo dell’evoluzione dei tempi e di come le nuove generazioni impongano un cambio di passo, determinato in buona parte anche dal vissuto precedente. Molti di loro, infatti, sono figli di uomini che hanno esercitato la paternità solo la domenica o durante le ferie estive. E la conferma è nei dati: il 67% delle persone nella fascia di età 18-34 anni ritiene che sia un bene che anche il papà possa occuparsi dei figli piccoli, senza per questo essere stigmatizzato.

Le resistenze culturali

Nonostante il sentiment nel Paese stia cambiando, infatti, permane una resistenza in una parte (minoritaria) dell’opinione pubblica: il 22% degli intervistati da Valore D pensa che il congedo di paternità sia da limitare perché «la cura del neonato è di esclusiva competenza delle madri nei primi mesi di vita». Da qui alla child penalty, ovvero alla maternità che si tramuta in vera e propria penalità per la carriera femminile, il passo è breve.

«C’è ancora molto da fare dal punto di vista culturale per scardinare quei timori che vedono nel congedo di paternità e di maternità un freno alla carriera – commenta Barbara Falcomer, direttrice generale Valore D. – Devono cambiare i riferimenti culturali, in questo il legislatore può fare molto prevedendo un’equiparazione dei congedi genitoriali, ma fino ad allora le aziende possono attivare policy che promuovono la genitorialità condivisa».

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