È una sconfitta di misura ma c’è poco di cui consolarsi. Intanto perché il centro-destra ha combattuto unito e la sinistra divisa, nella formazione ristretta Pd-5 Stelle mentre Soru con i riformisti e Rifondazione ha giocato per sé. Dunque, un’asimmetria di forze che però non è servita ad agganciare la vittoria. Meloni aveva pensato di poter sfruttare le divisioni a sinistra e vincere facile e invece ha perso male, sia pure per un soffio. Alla fine, l’unità della maggioranza, nella prova della realtà, non si rivela tale. E infatti si è già aperta una prima resa dei conti tra la premier e Salvini per verificare il dato del voto disgiunto. Il problema è che pure il leader della Lega, nel voto di lista, va giù.

La faccia non basta

La seconda ragione, la più importante, che non fornisce versioni consolatorie, è che Meloni aveva messo la faccia su questa partita. E quando un leader si espone, la sconfitta è una macchia. È come se avesse voluto fare due prove di forza: una con il suo alleato leghista togliendo l’ex Governatore Solinas; l’altra con gli elettori, sicura di poter coprire il malcontento locale su Truzzu, sindaco di Cagliari, solo con il suo nome. Insomma, il grave errore è aver pensato di poter rovesciare il basso gradimento popolare del suo candidato solo con la sua faccia. E i sardi le hanno voltato le spalle.

Domande sul terzo mandato

È vero, tra il perdente e la vincente c’è un pugno di voti ma questo racconta ancora una volta di quanto alcune realtà italiane siano frammentate e distanti. Ecco allora che la caduta serve da lezione per i dossier aperti nella maggioranza, a cominciare dalla battaglia sul terzo mandato per i Governatori. Adesso la partita si è chiusa con il “no” della Commissione sia da Meloni che da Tajani (oltre che dalla sinistra) ma dopo il caso Sardegna la premier dovrebbe almeno porsi una domanda. Se cioè non sia il caso di cercare una mediazione con i presidenti di Regione e non imporre le scelte con il pugno. Ecco, guardando alle sfide regionali dei prossimi anni, mettersi contro Governatori popolari come Zaia o Toti, non è una buona idea.

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