I territori più fertili per il “partito del non voto”, che minaccia anche le elezioni europee del prossimo 8 e 9 giugno, si distinguono – rispetto alle medie nazionali – per una minore incidenza di laureati, una disoccupazione più elevata, una maggiore incidenza di lavoratori nell’agricoltura e attività estrattiva (settore primario), un reddito medio inferiore e, infine, un’indice di vecchiaia più marcato.

L’identikit degli elettori non votanti emerge dall’analisi dei dati demografici e socio-economici correlati all’astensionismo: la fotografia dei Comuni italiani dove il 60% degli aventi diritto non si è recato alle urne negli ultimi due grandi appuntamenti elettorali (europee 2019 e politiche 2022) mette in luce dove è più facile che il fenomeno metta radici.

L’analisi delle statistiche sui territori italiani con la più bassa partecipazione elettorale è stata possibile grazie al lavoro di raccolta svolto dal Sole 24 Ore nell’ambito dell’inchiesta data-driven «The non-voter time bomb» condotta dal digital magazine portoghese Divergente in collaborazione con lo European Data Journalism Network (di cui il Sole 24 Ore, appunto, è partner). L’inchiesta nasce con l’obiettivo di tracciare il profilo degli elettori non votanti nei 27 Stati membri per comprendere dove si annida l’astensionismo e a quali fenomeni socio-economici è correlato: nel confronto internazionale, il «non voto» risulta più marcato nei paesi con un numero maggiore di persone impiegate nel settore industriale e laddove il reddito medio risulta più basso.

IL CONFRONTO EUROPEO

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L’analisi sui Comuni italiani

In un secondo momento si è deciso appunto di focalizzare l’attenzione sugli indicatori relativi ai Comuni italiani dove, durante le ultime elezioni, l’astensione è risultata superiore al 60 per cento. Nel nostro paese la scarsa affluenza alle urne è in crescita: alle europee del 2019 votò il 54,5% degli italiani, contro l’85,7% del 1979; alle politiche del 2022 ai seggi si presentò il 63,9% degli aventi diritto di voto, rispetto al 90,6% del 1979. Storicamente gli elettori votanti sono meno alle elezioni europee rispetto alle politiche nazionali. Ma le differenze tra i due appuntamenti elettorali sfumano osservando le caratteristiche dei territori più colpiti dall’astensione: in entrambe i casi i Comuni dove solo tre elettori su cinque si sono recati alle urne sono più spesso di piccole dimensioni, nel Meridione oppure nell’aree interne più svantaggiate, anche dell’entroterra piemontese e ligure.

LA FOTOGRAFIA DEGLI ELETTORI

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Le statistiche, infine, parlano chiaro. I Comuni con meno elettori votanti hanno in media un indice di vecchiaia più elevato rispetto alla media nazionale: oltre 240 residenti over 65 ogni 100 in età pediatrica (tra 0 e 14 anni), rispetto a 209 ogni 100. Ed un rapporto di sostanziale parità tra cittadini in età non attiva e quelli in età attiva (indice di dipendenza strutturale), mentre a livello nazionale questo rapporto si ferma a 44 ogni 100. Scende anche l’incidenza di laureati (fino a sotto il 30%, contro la media del 36%) e raddoppia l’analfabetismo (da 0,6 a 1,2 per cento). Ma è soprattutto nel confronto sul piano economico che l’astensionismo affonda le sue radici: a fronte di una disoccupazione media a livello nazionale dell’8,8%, nei Comuni più colpiti dal non voto il tasso supera il 13 per cento; il reddito dichiarato risulta più basso (-23% rispetto alla media nazionale nei territori più colpiti dal fenomeno alle europee del 2019). Infine, contrariamente a quanto accade negli altri Stati europei, in Italia i territori con l’affluenza più bassa sono quelli con meno occupati nel settore industriale (22,5% contro il 31% della media nazionale); il terziario risulta in linea con i dati nazionali; più marcata, invece, l’incidenza del settore primario (16% contro il 9,3%).

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