«La nostra priorità resta la scoperta dei grandi evasori. Chi non presenta la dichiarazione dei redditi e, allo stesso tempo, ha come automobile un Suv. Chi ha contribuito ai 15 miliardi di truffe scoperte dalla Guardia di Finanza intorno all’Ecobonus per i lavori immobiliari. Chi fa parte, in maniera organica, della criminalità organizzata e chi è un semplice cattivo cittadino».

Maurizio Leo, viceministro dell’Economia e delle Finanze, desidererebbe cancellare dal vocabolario universale – o, almeno, da quello del dibattito pubblico italiano – la parola “redditometro” che tanti scossoni ha prodotto all’interno dello stesso governo Meloni. «Il redditometro – dice – non esiste più dal 2018. Allora, nel governo dei Cinque Stelle e della Lega, il ministro Giovanni Tria e Massimo Garavaglia eliminarono le parti più invasive degli accertamenti. Bene ha fatto Giorgia Meloni, a fronte di tutte le strumentalizzazioni, a sottoporre a rivisitazione la misura che avevamo predisposto. Ma, fin da ora, ci sono comunque già degli elementi nuovi: se una persona acquista un’auto di lusso, ma un suo prozio ha un patrimonio superiore al milione di euro, non ci sarà nessun problema. Se compra una casa da un milione di euro, ma ha avuto negli ultimi due anni redditi importanti, per esempio sui 200mila euro lordi, non ci sarà nessun problema».

Nel panel “Riforma fiscale: pagare tutti per pagare meno” – moderato dal vicedirettore del Sole-24 Ore Jean Marie Del Bo – Leo ha avuto come discussant Lilia Cavallari, presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, e Federico Maurizio D’Andrea, presidente dell’organismo di vigilanza della banca Bpm. Leo ha descritto, nel segno della sua concezione di realismo, la riforma fiscale: «E’ inutile – ha detto – avere le penalità fra il 120 per cento e il 240 per cento, mentre lo standard occidentale si aggira intorno al 60 per cento. Penalità così abnormi sono irrazionali, generano contenziosi e alimentano soltanto la massa gigantesca del non riscosso, che ammonta a 1.200 miliardi». Resta il tema della mancata applicazione del favor rei per le nuove sanzioni amministrative: il costo proibitivo (2 miliardi) ha impedito l’estensione del principio oltre il campo penale.

Il circuito virtuoso ipotizzato dal Governo – snellimento dell’azione di recupero dell’evasione (nelle ipotesi più ottimistiche valutata fra gli 80 e i 100 miliardi di euro all’anno), maggiore efficienza e produttività degli strumenti adottati – ha come ultima stazione la possibilità di ridurre la pressione fiscale. Il problema è dare un assetto non transitorio e frammentario a un quadro che deve essere ricomposto in maniera duratura e organica. «Per questa ragione – ha chiosato la presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio – occorre costruire un meccanismo che funziona, che sia strutturato e strutturale e che sia coerente con i vincoli europei. Il sentiero dei conti pubblici è stretto. Ora bisogna elaborare un piano di bilancio di sette anni. Sapendo che, in questo lasso di tempo, i vincoli comunitari ci chiedono, ogni anno, una riduzione del debito equivalente a mezzo punto di Pil».

La grande complessità è, appunto, la sintesi fra pianificazione ed emergenza, fra ansia di recuperare risorse per finanziare parti di riforma (come la trasformazione duratura e non annuale del calo delle aliquote Irpef) e necessità di costruire un percorso di lungo periodo che sia sostenibile. Ha notato Cavallari: «Io ritengo molto più efficaci le misure ex ante. La fatturazione elettronica, per esempio, ha aiutato moltissimo a incrementare legalità, misurabilità, efficacia e trasparenza». Su questo è intervenuto Leo: «Oggi le nostre 200 banche dati sono connesse. La loro interoperabilità rappresenta una delle condizioni migliori per la lotta alla grande evasione, senza la quale un fisco equo, giusto, non vessatorio verso il comune cittadino non ha alcuna possibilità di realizzarsi».

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