Il governatore della Liguria Giovanni Toti, ai domiciliari con l’accusa di corruzione e falso, è arrivato alla caserma della Guardia di finanza di piazza Cavour, a Genova, per l’interrogatorio con i pubblici ministeri titolari dell’inchiesta sulla corruzione in porto Federico Manotti e Luca Monteverde.  Con Manotti e Monteverde anche il procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati. L’interrogatorio sta andando avanti da ore, e trapela che sono oltre un centinaio le domande selezionate e parte di un nutrito corpus di argomenti oggetto di contestazione sui quali in queste ore viene sentito dai pm. In particolare, tra gli argomenti più importanti ci sono quelli contenuti nell’ordinanza del gip che ha portato alla misura dei domiciliari: il filone del voto di scambio e il filone dei finanziamenti ricevuti alla fondazione, come quelli evidenziati dalle indagini sui presunti versamenti da parte dell’imprenditore Pietro Colucci, gestore di alcune discariche nel Savonese.

Toti è da martedì 7 maggio agli arresti nell’ambito della maxi inchiesta della Procura di Genova sulla corruzione in Liguria, aveva chiesto – tramite il suo legale – di essere sentito per rispondere alle contestazioni che gli muove la procura. La richiesta era arrivata dopo che si era avvalso della facoltà di non rispondere. Oggi, ad ascoltarlo, i pm Manotti, Monteverde e Miniati. 

Secondo il suo avvocato difensore Stefano Savi, il governatore ligure è pronto a difendersi da tutte le accuse, spiegando che i finanziamenti al suo comitato sarebbero tutti leciti e rendicontati e non avrebbe preso soldi per fini personali.

Sono dieci le misure cautelari, e 25 gli indagati, prodotti finora dall’inchiesta, condotta – oltre a Luca Monteverde – da Federico Manotti sotto il coordinamento di Nicola Piacente, Francesco Pinto e Vittorio Ranieri Miniati. Uno scenario criminoso che ha messo in luce, per l’accusa, favori ad aziende e imprenditori in cambio di voti. È quello che, in un titolo, è stato chiamato “sistema Toti”, nel quale sono emersi anche intrecci con la criminalità organizzata calabrese e siciliana radicata in Liguria. Ma al centro, al cuore dell’inchiesta, resta la gestione degli affari legati al Porto di Genova, ricambiati con pernottamenti in suite a cinque stelle, ori, gioielli, borse.

L’accusa centrale, per il governatore, è di aver ricevuto da Aldo Spinelli 74mila euro in contanti e varie promesse di finanziamenti. Poi il matrimonio della figlia di Signorini, i cui costi vengono coperti in parte da Spinelli (“Te li do io, Paolo…”) e da Vianello, per il catering. Quest’ultimo viene poi nominato consulente di Iren. Ma, si diceva, emergono anche soggiorni e pernottamenti esclusivi all’Hotel de Paris nel Principato di Monaco, i biglietti per la finale di un torneo internazionale di tennis, giocate al Casinò. E ancora carte di credito, una borsa Chanel, un bracciale Cartier

 

Ai domiciliari, oltre a Toti, sono finiti Matteo Cozzani, suo capo di gabinetto e coordinatore della campagna elettorale per la rielezione. Stessa misura per Aldo Spinelli, imprenditore di punta del Porto di Genova, ex presidente delle squadre di calcio Genoa e Livorno. A suo figlio Roberto è stato imposto il divieto di esercitare attività professionali e imprenditoriali in favore di soggetti pubblici e privati per un anno. Stessa misura ha colpito anche Francesco Moncada, consigliere di amministrazione Esselunga, accusato di finanziamento illecito per le ultime Comunali, e Mauro Vianello, imprenditore portuale. Obbligo di dimora per dieci mesi per Arturo e Italo Testa e obbligo quotidiano di firma per Maurizio Venanzio, ex sindacalista Cgil. È stato disposto il sequestro di 570mila euro, la somma delle tangenti finora pagate, secondo l’accusa.

 

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