Tessuto e filo: due sostantivi che, insieme a verbi e aggettivi ad essi correlati e a parole affini, sono i più usati, con accezione più o meno metaforica, per descrivere il mondo e soprattutto le relazioni tra persone nonché l’evoluzione – o involuzione – delle società. Succede in molte lingue (si pensi al fil rouge francese) e non è certo un’abitudine del passato. Che nome ha scelto Mark Zuckerberg per una delle sue più recenti scommesse, la sua personale sfida a Elon Musk e alla piattaforma X-fu-Twitter? Il fondatore di Facebook ha chiamato il nuovo social network Threads: fili, letteralmente, o anche terza persona singolare del verbo to thread, filare. La tecnologia e il mondo post internet non sono nuovi a saccheggiare l’immaginario tessile e Zuckerberg non è stato particolarmente originale. Con thread si indica da molti anni un tipo particolare di protocollo di rete e qualche tempo fa Google ne ha lanciata una versione open source, chiamata OpenThread. Ma potremmo continuare, tornando all’italiano, pensando a trama e ordito. Due parole che nel linguaggio tessile indicano, rispettivamente, il gruppo di fili orizzontali e di quelli longitudinali che formano il tessuto, ma che usiamo anche per parlare di libri e di attività umane, in particolare se complesse.

Il lanificio Zegna

Chiara Beghelli non ha dovuto – né voluto, ovviamente – fare un viaggio metaforico o linguistico nel mondo di fili, filati e tessuti. Nel suo libro Il grande telaio. Storie e segreti della manifattura tessile italiana , appena pubblicato da Luiss University Press (nella collana Bellissima diretta da Nicoletta Picchio) con una prefazione dello stilista Antonio Marras, che nel corso degli anni ha spesso raccontato quale ruolo centrale abbiano i tessuti nel processo creativo che porta a una collezione di abiti e accessori. L’autrice propone un reportage “vecchio stile”, preparato con ricerche e studio e poi fatto di brevi e lunghi viaggi, in treno o in macchina, su e giù per l’Italia, e di chiacchierate e incontri (parlare di interviste sarebbe riduttivo). Un viaggio-reportage che non ha seguito latitudini o gerarchie geografiche precise bensì, appunto, fili, usati per mettere in moto “il grande telaio della manifattura italiana”, che comprende nomi molto conosciuti, come la veneta Lanerossi e Loro Piana e Zegna, autentiche glorie piemontesi, accanto ad altri meno noti al grande pubblico, come l’Antico Setificio di Firenze, il Linificio e Canapificio Nazionale (vicino a Bergamo) o la cooperativa Nido di seta, nel Catanzarese.

A ispirare il libro è stata quasi certamente la consapevolezza che la moda come la maggior parte di noi la conosce – quella che vediamo in passerella, online e poi nei negozi, nei nostri armadi e suoi nostri corpi o su quelli degli altri, comprese le star sui red carpet – non esisterebbe senza il tessile. Non soltanto perché filati e tessuti sono la materia prima di cui sono fatti i nostri vestiti e alcuni nostri accessori. Filati e tessuti sono pure – non sembri un ossimoro – la materia dei sogni degli stilisti (e anche, nel corso della storia, delle visioni di alcuni protagonisti dell’arte tessile).

Il setificio Ratti

È dell’osservazione e della conoscenza dei tessuti che si nutre la creatività di stilisti e sempre più spesso di designer del comparto arredo-casa ed è grazie al dialogo e alla collaborazione con chi i filati e i tessuti li immagina, li migliora, li innova, e poi li produce che le idee di stilisti e designer possono trasformarsi in collezioni. Una sorta di ping pong creativo e produttivo dove alla fine sono tutti vincitori e che nel caso dell’Italia coinvolge l’intero Paese, lo “veste”, come fa l’armatura del tessuto composta da trama e ordito. Le aziende tessili con una lunga storia – e in Italia sono tantissime – hanno conservato con cura e amore i rispettivi archivi e i tessuti sono raccolti in volumi rilegati in pelle che fanno assomigliare le stanze che li ospitano ad antiche biblioteche. Archivi che sono spesso visitati da studenti delle scuole di moda, italiane e internazionali, e da stilisti, giovani o di lunga esperienza, sempre e comunque in cerca di ispirazione.

Lavorazione da Candiani Denim

Chi ama la moda, la studia, la segue, ne scrive – anche dal punto di vista storico ed economico, come Chiara Beghelli, giornalista al Sole 24 Ore dal 2007 – non può non amare con uguale se non maggiore trasporto il tessile, che però è più difficile da conoscere, studiare, capire e raccontare. L’autrice ci è riuscita, colmando tra l’altro un vuoto: non mancano i testi sulla storia dei tessuti di singoli Paesi, aree geografiche o epoche storiche. E ci sono testi e cataloghi, tecnici e più divulgativi o autenticamente didattici sui tessuti esistenti. Mancava invece la fotografia della manifattura italiana, il cui presente è indissolubilmente legato alla storia del tessile europeo e mondiale. Una fotografia quanto più necessaria e utile oggi perché, in termini economici ma anche di immagine e conoscenza, il tessile è la parte più fragile della filiera dell’abbigliamento e del sistema moda, che per l’Italia vale oltre 100 miliardi di euro e oltre 600mila occupati.

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