Tassi Fed: ultimo atto Powell a rischio con petrolio e scioperi auto

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E dopo la Bce, tocca alla Fed di Jerome Powell fare questa settimana il grande annuncio sui tassi.

Il Fomc, il braccio di politica monetaria della banca centrale americana, si riunirà nella giornata di domani, per decidere il da farsi, per poi emettere il verdetto dopodomani, mercoledì 20 settembre, alle 20.15 circa ora italiana.

In calendario, nella settimana di contrattazioni che si è appena aperta, non ci sarà solo la Fed.

Attesi infatti anche gli annunci sui tassi della banca centrale svizzera (Swiss National Bank), della Bank of England (BoE) e della Bank of Japan.

Tutte le istituzioni dovranno valutare, prima di fare i rispettivi grandi annunci, il trend e l’outlook sia dell’inflazione che della crescita dell’economia, in un momento in cui  il rialzo anomalo dei prezzi scatenato dalla guerra in Ucraina non è stato ancora domato.

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Fed: dilemma tra disoccupazione e inflazione. Ma si scommette su un nulla di fatto

Per quanto riguarda la Fed di Jerome Powell, se da un lato il report occupazionale Usa ha alimentato le speranze su uno stop dei rialzi dei tassi finora annunciati dalla banca centrale, con la sorpresa rappresentata dal tasso di disoccupazione, dall’altro lato il dato clou relativo all’inflazione Usa ha fatto sorgere il dubbio che, invece, parlare di stop totale sia alquanto prematuro.

Lo stesso presidente della Fed Jerome Powell, nel suo discorso di Jackson Hole, aveva avvertito che la banca centrale sarebbe stata “pronta ad alzare ulteriormente i tassi”,  sulla scia di una inflazione che rimane “troppo alta”.

I mercati scommettono tuttavia un nulla di fatto sui tassi, almeno per questa riunione del Fomc di settembre.

Le speculazioni sono inoltre su un altro rialzo che potrebbe arrivare entro la fine del 2023.

Anche gli economisti interpellati da Reuters, così come i trader, credono che Powell & Co. confermeranno il costo del denaro Usa, per procedere poi a un’altra mossa successivamente.

Dal sondaggio di Reuters emerge che più del 95% degli economisti che sono stati intervistati, ovvero 94 su 97, ritengono che la banca centrale manterrà lo status quo in questo meeting di settembre al range attuale, compreso tra il 5,25% e il 5,50%, in linea con le attese dei mercati.

Una percentuale vicina al 20%, 17 su 97, crede però che la Fed opterà per un’altra stretta monetaria entro la fine di quest’anno.

“Sebbene continuiamo a prevedere che la Fed confermerà i tassi nel meeting del Fomc del 20 settembre, non saremmo sorpresi se la maggior parte dei suoi funzionari prevedesse un altro rialzo entro la fine dell’anno, nel dot-plot aggiornato”, ha riferito all’agenzia Reuters
Brett Ryan, economista senior Usa presso Deutsche Bank, ricordando che, dopodomani, il Fomc pubblicherà anche il suo nuovo dot plot, ovvero il documento contenente le previsioni dei banchieri sul trend dei tassi, che viene reso noto su base trimestrale.

Inflazione: attenti a effetti scioperi auto e rialzo petrolio

“Negli Stati Uniti, le aspettative sono per una Fed in stand by, sebbene con rischi di commenti inclini un po’ di più verso il lato dei falchi dopo un rapporto sull’inflazione di agosto più forte del previsto – ha commentato nella nota odierna dedicata ai mercati Gabriel Debach, market analyst di eToro – L’aumento del core è stato guidato da un’inflazione dei servizi più rapida, in particolare dei biglietti aerei, ma nel complesso le pressioni sui prezzi sottostanti sembrano essere rimaste leggermente più alte di quanto previsto all’inizio del terzo trimestre. In questo contesto, i mercati terranno d’occhio il modo in cui i partecipanti al FOMC valuteranno la necessità di ulteriori rialzi”.

“Gli economisti hanno definito il mercato del lavoro come resiliente e la stessa Fed si sente a disagio nella sua politica monetaria a causa di questo fenomeno – ha fatto notare Debach – Va notato che tale resilienza non si traduce necessariamente in benessere, come dimostra il fatto che nel corso del 2023 molti settori, dai professionisti di Hollywood alle infermiere, dagli operai ai baristi di Starbucks, hanno incrociato le braccia“.

Di fatto, “negli Stati Uniti, i lavoratori stanno registrando livelli record di scioperi. Solo nel mese scorso, a causa degli scioperi, sono stati persi 4,1 milioni di giorni lavorativi, calcolato moltiplicando il numero di giorni di lavoro persi in ogni sciopero per il numero approssimato di lavoratori coinvolti. Questo rappresenta il volume più alto di interruzioni del lavoro dall’agosto del 2000″.

In questa situazione, riguardo all’inflazione, l’analista ha avvertito che “la situazione è stata ulteriormente oscurata dall’aumento dei prezzi del petrolio, che hanno superato i 90 dollari al barile, raggiungendo il massimo dell’ultimo anno”.

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La paura di una nuova corsa dell’inflazione si è riflessa, ha indicato Debach, anche sul mercato dei Treasuries Usa: “L’aumento dei rendimenti del Tesoro sta continuando a pesare sui titoli, con il rendimento di riferimento a 10 anni salito al 4,3%“, ha detto l’analista.

Fed: Powell annuncerà pausa dovish o hawkish?

Dal canto suo, interpellato dalla Cnbc Quincy Krosby, strategist globale di LPL Financial, ha detto di ritenere che, in questa imminente riunione di settembre, “per le aspettative sulle decisioni sui tassi che verrannoprese nei meeting di novembre e di dicembre, cruciale sarà il modo in cui la Fed annuncerà la pausa”.

Nello specifico, “i mercati finanziari si concentreranno soprattutto sul fatto se la pausa verrà presentata con un tono dovish o hawkish”.

Anche Krosky ha parlato dell’effetto degli scioperi indetti dai lavoratori dipendenti del settore auto sulle spinte inflazionistiche, dicendo di prevedere un aumento dei prezzi legato alla solidità del mercato del lavoro, ma anche allo stop deciso dai lavoratori del comparto:

lo sciopero, negli Stati Uniti, della forza lavoro dei colossi auto, ha spiegato Krosby, potrebbe esercitare, di fatto, ulteriori rialzi dei prezzi, a causa delle nuove proposte (aumenti dei salari) che i giganti del settore presenteranno per placare la rabbia dei dipendenti.

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A tal proposito, Gabriel Debach ha ricordato che “la scorsa settimana l’azionario Usa ha registrato una brusca diminuzione”, proprio a causa dei rischi associati allo sciopero dell’UAW nel settore automobilistico”, aggiungendo anche che “è la prima volta, in 88 anni di storia del sindacato, che viene presa di mira contemporaneamente l’intera triade delle principali case automobilistiche di Detroit”.

“Questa situazione – ha continuato il market analyst di eToro – è motivo di particolare preoccupazione, poiché mette a rischio quasi la metà della produzione automobilistica degli Stati Uniti. Tuttavia, ciò che emerge in modo più evidente è il disagio economico generale causato dall’inflazione sul mercato del lavoro”.

I vari blocchi e interruzioni del lavoro rischiano inoltre di scatenare anche altri ennesimi shock dal lato dell’offerta che, da soli, come ha dimostrato il reopening dell’economia dai lockdown imposti durante la pandemia Covid, spingono al rialzo i tassi di inflazione.

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