“Io sono innocente” è il titolo del libro scritto a quattro mani da Beniamino Zuncheddu e Mauro Trogu: storia di un uomo incarcerato ingiustamente per 33 anni e dell’avvocato che ha lottato per la sua libertà. Un racconto a due voci, quella di Beniamino e del suo avvocato, che narra la dolorosa storia del pastore sardo incarcerato ingiustamente a soli 26 anni, condannato all’ergastolo per un triplice omicidio mai commesso sulle montagne di Sinnai. Un uomo rimasto dietro le sbarre da innocente per quasi 33 anni. Intervento risolutivo quello dell’avvocato Mauro Trogu che, senza arrendersi mai, ha accompagnato Beniamino nel processo di revisione, fino all’assoluzione per non aver commesso il fatto. Il libro, edito da DeAgostini, è presentato a Roma alla libreria Borri Books della Stazione Termini.

L’avvocato deve immaginare di vestire il pigiama a righe del detenuto

Mauro Trogu ora seguirà Beniamino anche nella vicenda del risarcimento. È il legale che ha creduto nell’innocenza di Beniamino e si è battuto per dimostrare la sua estraneità ai fatti. Beniamino era stato condannato all’ergastolo in fretta e furia. Si cercava un colpevole, non il colpevole. Beniamino con l’avvocato Trogu ha affrontato due battaglie giudiziarie, da una parte il processo di revisione, dall’altra il procedimento per ottenere la liberazione condizionale (arrivata solo il mese prima dell’assoluzione). «Con il libro – spiega l’avvocato Mauro Trogu – abbiamo pensato di dare un contributo alla discussione sulla giustizia in Italia». Il giovane avvocato sardo ha basato il suo lavoro su un precetto importantissimo, appreso alla prima lezione di diritto processuale del professor Leonardo Filippi: «Se volete capire la procedura penale, dovete immaginare di vestire il pigiama a righe del detenuto, e da quella prospettiva domandatevi se le leggi appaiono giuste o sbagliate». E ai lettori Trogu consiglia di leggere la vicenda indossando il pigiama a righe. Perché quello che è successo a Beniamino potrebbe colpire ciascuno di noi.

Il più grave errore giudiziario in Italia

Quello di Beniamino Zuncheddu è il più grave errore giudiziario che si è consumato in Italia, causato da un labirinto di bugie, false testimonianze, ritrattazioni come ha raccontato anche il podcast del Sole 24 Ore e di Radio 24 “Innocente”. Beniamino è stato assolto il 26 gennaio 2024 per non aver commesso il fatto dai giudici della Corte d’Appello di Roma al termine del processo di revisione. I giudici di Roma hanno anche disposto la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma in relazione a tre testimonianze rese in aula: quella dell’ex poliziotto che si occupò delle indagini all’epoca, Mario Uda, quella di Daniela Fadda (moglie del testimone Luigi Pinna) e dell’altro testimone Paolo Melis.

Caso Zuncheddu, assolto dopo 33 anni di carcere

Dal gabbiotto in aula sembrava tutto irreale

«Assistere al mio processo da un gabbiotto dell’aula della Corte d’appello di Cagliari – racconta Beniamino nel libro – è stato come guardarlo in televisione. Mi sembrava irreale. Tutto quanto: le accuse, il movente, le testimonianze». Un uomo che nei duri anni dietro le sbarre ha sempre dimostrato una grande dignità. E addirittura non prova rabbia, ma pena, nei confronti di Luigi Pinna, che mentendo sul riconoscimento dell’assassino lo ha mandato dietro le sbarre per quasi 33 anni. «Pensavo soltanto: poverino anche per lui questa è una brutta storia. Lo penso anche ora. Penso a tutto quello che si è portato dentro». L’altro testimone, Paolo Melis, diceva di aver visto Beniamino minacciare Giuseppe Fadda, una delle tre vittime. «Tutto quello che io posso dire è che non ero io, anche perchè non ho mai avuto mucche. Anzi, penso che questo fatto non sia mai successo e che sia stata una montatura messa in piedi da chi mi ha voluto rendere un capro espiatorio».

L’arresto di Beniamino mentre sta guardando Sanremo

Beniamino viene arrestato il 28 febbraio 1991, mentre con i familiari seguiva Sanremo. A più di un mese dal triplice omicidio avvenuto nell’ovile di Cuile is Coccus. Sono molto toccanti le parole con cui l’ex pastore sardo ricorda nel libro l’arresto e l’interrogatorio. Lo portarono in questura, lo fecero sedere su una sedia in un garage dove c’era solo un tavolino. «La spalliera della sedia – scrive Beniamino nel libro – era appoggiata a un termosifone. Hanno preso un paio di manette, me ne hanno messa una al polso destro e l’altra l’hanno attaccata al tubo del termosifone, in alto. Così il braccio rimaneva alto sulla testa, come se stessi salutando. E, infatti, stavo salutando la libertà per trentadue anni. Erano solo accertamenti, dicevano. Si vede che li hanno fatti per bene, perchè sono durati 33 anni e mezzo». Da allora Benianimo è rimasto in carcere per 32 anni, 8 mesi e 23 giorni, Dall’inizio alla fine, scrive, mi sono fatto una sola domanda. Perché? E se lo chiede ancor oggi che è tornato ad essere un uomo libero e attende dallo Stato il risarcimento dovuto a un uomo che non ha potuto farsi una famiglia, avere un lavoro e una pensione.

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