Un leader convertito al populismo fuori dal gruppo ma, soprattutto, sette eurodeputati in meno. I liberali di Renew perdono la delegazione ceca, guidata all’ex premier Andej Babis e scendono a 74 seggi, ormai a nove di distanza dal gruppo dei conservatori e riformisti. Mai, nella storia recente dell’unione, l’eurocamera aveva iniziato con un così corposo movimento di delegazioni da un gruppo all’altro. Nel caso di Babis, il suo addio era atteso e permetterà a Renew di accogliere un’altra delegazione ceca, composta dai due eletti del movimento Stan. L’addio di Ano accresce l’allarme per i numeri della maggioranza Ursula, scesa sotto quota 400. E con l’incubo dei franchi tiratori pronto a concretizzarsi, per Ursula von der Leyen l’appoggio esterno all’asse Ppe-S&d-Renew appare inevitabile. Babis va a ingrossare il già grande gruppo dei non iscritti. “ha scelto un percorso populista che è incompatibile con i nostri valori”, ha sottolineato la macroniana Valerie Hayer. L’ex premier, famigerato per i suoi servizi di sicurezza e coinvolto in varie inchieste giudiziarie, potrebbe contribuire alla formazione di un gruppo targato Visegrad, con gli orbaniani, il partito slovacco Smer di Robert Fico e gli sloveni di Janez Jansa, attualmente nel Ppe ma in odore di uscita. Mancano solo le delegazioni di tre paesi per formare un nuovo gruppo tutto a trazione iper-populista. La somma della maggioranza Ursula fa al momento 399 (189 popolari, 136 socialisti e 74 liberali), 39 più della soglia minima. Ed è un margine troppo labile per dormire sonni tranquilli. Basti pensare che nel 2019 furono una settantina i franchi tiratori. 

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Ursula von der Leyen

L’ipotesi di allargamento ai Verdi

Alla presidente della commissione servirebbe l’appoggio dei verdi (51 seggi) o quello di una parte di Ecr, a cominciare dai meloniani. Aritmeticamente farebbe comodo avere entrambi a bordo. Politicamente il discorso è diverso. I verdi cercano una legittimazione all’interno della coalizione.  Nel Ppe la reazione è stata fredda. “nessuno ancora ci ha invitati al tavolo”, hanno ammesso dai greens. Una nutrita fronda del Ppe non si fida dei verdi, a cominciare dal leader Manfred Weber. “i verdi sono pronti a sostenere l’accordo con la Tunisia sui migranti? O l’accordo Mercosur?”, è la domanda che circola tra i più scettici. “Ogni apertura ai verdi farebbe perdere voti anziché guadagnarli”, ha avvertito il capodelegazione di Fi Fulvio Martusciello

Manfred Weber, presidente del Ppe in Europa (GettyImages)

Manfred Weber, presidente del Ppe in Europa

L’ipotesi di allargamento ai Conservatori

Dalla parte opposta, invece, c’è l’apertura a Giorgia Meloni. La trattativa è delicata, i tatticismi mascherano le reali intenzioni dei giocatori al tavolo. A von der Leyen basterebbe che Fdi votasse sì in plenaria e l’importanza dell’Italia coadiuva l’ipotesi che a Roma sia assegnato un commissario di peso. Meloni, tuttavia, su questo punto non si è ancora scoperta e porta con sé la zavorra di un gruppo, quello di Eco, che per metà è pubblicamente contrario ad un’Ursula bis. La Spitzenkandidat del Ppe, nei prossimi giorni, dovrebbe parlare con le singole delegazioni: sarà lei che dovrà gestire la parte meno nobile della trattativa – quella delle poltrone – prima del vertice dei 27 di giovedì e venerdì. 

LaPresse

Giorgia Meloni al Summit UE a Bruxelles

Spunta il nome di Enrico Letta

Del terzetto che sarà sul tavolo dei leader, con Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, il secondo appare forse il meno stabile. Sulla presidenza del consiglio europeo il Ppe ha alzato la posta al massimo, chiedendo un cambio di colore a metà mandato e facendo infuriare i socialisti. Allo stesso modo Olaf Scholz – che a Berlino ha incontrato Viktor Orban ieri in serata – e Emmanuel Macron non resteranno a guardare. I rumors del quartiere europeo continuano a definire in partita Enrico Letta. L’ex premier ha deciso di non candidarsi per la guida del prestigioso istituto sciences po anche se, ha spiegato la sua portavoce, non c’è alcun nesso con la corsa ai top jobs Ue o con un eventuale incarico che Letta potrebbe avere come inviato dell’unione. Eppure porre il suo nome sul tavolo metterebbe Meloni in una posizione non comodissima e darebbe vigore al ruolo del Pd, prima delegazione nei socialisti. Quello stesso Pd che ha tatticamente preferito lasciare ai gemelli spagnoli del Psoe la presidenza del gruppo all’eurocamera.  

Ansa

Enrico Letta a Bruxelles

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