Quasi 70 miliardi in più in soli sei anni. È l’impennata della spesa per pensioni tra l’inizio del 2019, segnato dall’entrata in vigore di Quota 100, e quest’anno, in cui si registra un impatto sui conti ancora rilevante dell’indicizzazione dei trattamenti all’inflazione. Ma dalle stime del governo, contenute nel Def “light” appena presentato, emerge che il conto della previdenza diventa ancora più pesante allungando l’orizzonte di previsione al 2027: +99,6 miliardi, con le uscite pensionistiche che dovrebbero toccare i 368,1 miliardi (15,5% sul Pil) contro i 268,5 di fine 2018 (15,2% sul Pil). E già al termine del 2024 la spesa dovrebbe arrivare a 337,4 miliardi (15,6% del Pil) con una crescita del 5,8% sui dodici mesi precedenti. Una spesa che risulta ancora più dilatata prendendo in considerazione tutto il capitolo delle prestazioni sociali in denaro, in cui sono inclusi gli assegni alle famiglie, i sussidi e altri strumenti di sostegno: dal 2018 l’aumento atteso alla fine del 2024 è di 98,6 miliardi e dovrebbe ulteriormente lievitare a 132,5 miliardi nel 2027.

Cosa dice il Def

Nello stesso Def si fa di fatto notare che fino a tutto il 2023 a trainare la spesa sono state soprattutto le misure «dirette ad anticipare il pensionamento rispetto ai requisiti ordinari» (ovvero le “Quote”, a partire da Quota 100), quelle per il contrasto alla povertà (come il Reddito di cittadinanza) e gli interventi di sostegno alla famiglia. Le «innovazioni normative a carattere non temporaneo» hanno prodotto in media nell’arco di tempo compreso tra il 2019 e il 2023 una maggiore incidenza della spesa per prestazioni sociali in denaro sul Pil di circa un punto l’anno.

Dati che lasciano il capitolo delle pensioni, così come quello del welfare in generale, tra i comparti di spesa considerati “vigilati speciali” dai tecnici del Mef. Non a caso nel Def si afferma a chiare lettere che, nonostante la stretta sulle rivalutazioni degli assegni fatta scattare con la legge di bilancio per il 2023 (inasprita per quelli più elevati dall’ultima manovra) «la spesa permane a livelli elevati sia per la significativa misura dell’indicizzazione da riconoscere ai trattamenti derivante dall’ampio incremento del tasso di inflazione per gli anni 2022-2023 sia,in particolare, per i costi a carattere pluriennale e strutturale conseguenti dai provvedimenti normativi di natura non temporanea adottati nel periodo 2019-2022».

Come andrà nei prossimi anni

Un riferimento quasi esplicito, quest’ultimo, anche a Quota 100 (che è stata poi sostituita da Quota 102 e Quota 103, attualmente in versione penalizzata). Proprio le tante deroghe alla legge Fornero, ma non solo, hanno favorito un incremento, quasi ininterrotto, dell’incidenza della spesa per prestazioni sociali in denaro sul Pil. Anche nei prossimi tre anni la corsa delle uscite per prestazioni sociali proseguirà, in media, al ritmo annuo del 2,5%. Che salirà al 2,9% per quella delle sole pensioni. Tassi di variazione delle uscite non trascurabili, per la previdenza «condizionati», si evidenzia nel Def, «dalla rivalutazione delle pensioni ai prezzi, dal numero di pensioni di nuova liquidazione, dai tassi di cessazione e dalla ricostituzione delle pensioni in essere». Non solo: la Ragioneria generale dello Stato, nell’apposito focus inserito nel Documento di economia e finanza, conferma che dal 2029 in avanti, il peso della spesa e Pil tenderà ad accentuarsi significativamente con un picco del 17% nel 2040. Un andamento essenzialmente dovuto, ribadiscono i tecnici del Mef, all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, che sarà solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento.

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