Di tutti i numerosi appuntamenti in questo particolarissimo 2024 “di elezioni” in tutto il mondo, il voto di domani nel Regno Unito è quello che presenta, sulla carta, il risultato meno imprevedibile: la vittoria del Labour sui Conservatori, dopo 14 anni di governo Tory.

Secondo quanto pronosticato da tutti i sondaggi, infatti, Keir Starmer, a capo del partito laburista, si appresta infatti a dare lo sfratto al premier uscente, Rishi Sunak, dopo che questi ha annunciato le elezioni politiche lo scorso 22 maggio (erano previste per fine anno). Uno scenario a cui il partito di governo sembra ormai rassegnato, mentre dalle parti del movimento politico che fu di Tony Blair si pregusta la vittoria con l’unico timore dell’affluenza, che potrebbe rendere la vittoria meno fragorosa. Gli analisti, infatti, hanno avanzato l’ipotesi che l’assenza di suspense nell’esito elettorale possa spingere in molti a non recarsi alle urne, incidendo su un’ampia maggioranza parlamentare. Tanto è vero che Starmer in persona ha incoraggiato la gente a non lasciarsi convincere “a restare a casa” se davvero vuole quel “cambiamento” sperato e atteso dalla maggioranza dei britannici.

L’endorsement del Sun

Nella lunga schiera di endorsement che il Labour ha ottenuto nelle ultime settimane, oggi si è unito anche il Sun, segno dell’assoluta prevedibilità del risultato: giornale storicamente conservatore, brexiteer (cioè, a favore della Brexit) e populista, di proprietà dello “squalo” Rupert Murdoch, il foglio londinese ha appoggiato esplicitamente il 61enne leader laburista, definendolo “il nuovo manager” di cui Londra ha bisogno. Starmer, oltretutto, ha il merito di aver riportato il Labour al centro, dopo la parentesi di sinistra radicale imposta dalla leadership di Jeremy Corbyn. E non è un caso che l’ultima volta che il tabloid si era schierato col Labour risale al “regno” di Tony Blair, fautore del “New Labour” (orientato nelle proposte al voto moderato) e interprete della Terza via (tra conservatorismo e socialdemocrazia). Ma, appunto, oltre al Sun, c’è tutta la stampa d’establishment, che attende l’ingresso del segretario laburista al numero 10 di Downing Street.

Il Labour potrebbe superare il successo di Blair nel 1997

L’ex enfant prodige del progressismo mondiale, in questa vigilia elettorale, è tornato a essere evocato come “pietra di paragone” a proposito della schiacciante maggioranza che domani il Labour potrebbe ottenere ai Comuni: stavolta, infatti, il partito di centrosinistra britannico potrebbe raggiungere un risultato ben più lusinghiero della vittoria di Blair alle elezioni nel 1997. Il ministro del Lavoro Mel Stride è stato il primo a riconoscere che si rischia “una sconfitta a valanga senza precedenti”.

 

Per i sondaggi, il Labour viaggia verso i 430 deputati, i Tories intorno ai 100

Venendo ai numeri, il Labour potrebbe ottenere fino a 431 deputati (Blair ne totalizzò 418), mentre i Tories avrebbero appena 102 seggi sui 650 della Camera dei Comuni, come prevede l’istituto YouGov. Disfatte tali non si vedevano da 190 anni. Per l’articolato sistema maggioritario britannico, che attribuisce un consistente premio di maggioranza, tuttavia, i labouristi dovrebbero arrivare con difficoltà al 40% dei consensi. Ma sui Tories potrebbero incombere due minacce: la concorrenza a destra di Reform UK del grande sponsor della Brexit, Nigel Farage, o quella al centro dei Libdem di Ed Davey, che potrebbero addirittura superarli. E in quel caso sarebbe davvero un dramma.

 

La congiuntura sfortunata di Sunak

Il ricchissimo Rishi Sunak, 44 anni, origini indo-africane e un matrimonio azzeccatissimo con un’esponente di una delle famiglie più danarose della principale ex colonia dell’Impero che fu della regina Vittoria, non ha potuto far altro che ripetere fino all’ultimo che “la partita non è perduta”. Eppure, l’eredità dei precedenti governi conservatori, da quello di Theresa May alla meteora di Liz Truss, non ha potuto far altro che appesantire un’azione politica stanca, spompata, sempre più senza prospettiva. Dagli scandali di partito alla controversa gestione del post-Brexit, fino alle scelte di politica economica o migratoria (con la delirante proposta di deportare i migranti in Africa), hanno preparato il terreno alla débâcle annunciata di domani. Il Covid, le guerre e le tensioni internazionali hanno fatto il resto.

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