Dopo molti anni, un bilancio del gruppo chiude con un utile significativo, almeno per i nostri standard. Un segnale positivo da accogliere con favore e consolidare. Però un risultato ottenuto anche grazie all’utilizzo su larga scala di strumenti di riduzione di tutti i costi non certo indolore. Così se l’area publishing, centrale almeno apparentemente per il gruppo, ha visto la contrazione dei costi diretti del 3% (1,2 milioni) è il costo del lavoro a essere diminuito in maniera ancora più netta, sia in percentuale, quasi il 9%, sia in valore assoluto (-3,7 milioni). Un obiettivo quest’ultimo raggiunto grazie all’applicazione su tutti i dipendenti e sui giornalisti in particolare di tutti gli ammortizzatori disponibili, dalla cassa integrazione ai prepensionamenti. Non una novità peraltro: in dieci anni l’organico dei giornalisti del quotidiano è diminuito di quasi il 25%, passando da 230 a 177, un calo considerevole e con riflessi problematici sotto una pluralità di punti di vista, dalla difficoltà a fare fronte a carichi di lavoro aumentati con un numero di redattori inferiore, alle sempre più accentuate disparità reddittuali tra colleghi, dove a parità di mansioni l’inquadramento contrattuale è spesso diverso.

Quanto a redditi, inoltre, la lettura della relazione sulla politica di remunerazione, nella parte relativa ai compensi corrisposti, fa emergere l’aumento della remunerazione sia dell’amministratrice delegata, sia della prima fila dei manager, sia del consiglio di amministrazione, a fronte di una diminuzione di quasi tremila euro della retribuzione media del dipendente Sole 24 Ore. Nulla di illegittimo ovviamente, per il raggiungimento degli obiettivi cui era legata la parte variabile della remunerazione, ma un supplemento di riflessione sull’opportunità di passare già alla cassa per conti ampiamente sorretti dai tagli ai dipendenti sarebbe stato necessario.

Ma veniamo alla fisonomia del gruppo, quella che emerge da una prima analisi dei conti. Un gruppo che rivendica il suo primato multimediale nell’informazione economica, finanziaria, normativa e che quindi accetta a parole la sfida per la conservazione e rilancio di un’identità precisa, dedicata a un business immateriale e cruciale come l’informazione. E tuttavia un gruppo dove nei fatti l’informazione conta sempre meno. Sin dall’esposizione aziendale dei principali dati di sintesi del gruppo nell’esercizio 2023 l’enfasi viene messa sullo sviluppo dei prodotti dell’area servizi professionali e formazione e sul buon andamento dell’area eventi (8 milioni di ricavi). Con le redazioni chiamate a fornire apporti sia all’una sia all’altra senza riconoscimento del valore prodotto e piuttosto con richieste ormai sempre più spesso estranee a consapevolezza del ruolo, della figura stessa del giornalista, in una posizione sempre più spesso ancillare. Un’assenza di considerazione che però non investe solo la redazione, ma tutti i dipendenti del gruppo, se è vero che, in una survey aziendale, alla domanda sul tasso di miglioramento dell’impegno dell’azienda sui temi della valorizzazione delle persone oltre l’80% si è detta insoddisfatta.

L’area publishing, tuttora centrale nell’economia dei conti (103 milioni di ricavi), soffre per una assenza di strategia ormai storica, per una mancanza di investimenti, per un deficit di attenzione che si riflette sui risultati. La diffusione segnala una diminuzione sia sul versante carta, -6%, sia su quello digitale, -2 per cento. In contraddizione rispetto a ogni asserita volontà digital first prosegue la diminuzione dei browser unici sul sito, -10 per cento. Da settimane, del resto, il tentativo di introduzione di un sistema più spiccatamente digitale per la produzione di contenuti si scontra con la necessità di renderlo compatibile con un giornale che deve uscire ogni giorno. Carenze applicative la cui gravità è rilanciata dall’assenza di una coerente organizzazione del lavoro e dall’articolazione di una giornata di lavoro tipo che resta orientata alla carta.

E di una realtà che confina l’informazione a un ruolo marginale, in un provincialismo che non meritiamo, il festival dell’economia di Trento, biglietto da visita del gruppo, è il simbolo. Con decine di giornalisti in trasferta per decine di pagine prodotte, in larga parte per fare fronte a richieste autoreferenziali, quando, per esempio, sul piano strutturale la redazione è ormai priva da anni di un corrispondente dagli Stati Uniti (le sedi di corrispondenza sono solo due, con una terza aperta da poco, in India, a condizioni ai limiti del tollerabile). Naturalmente l’organizzazione di un festival dell’economia da parte del primo giornale economico del Paese ha molto senso, ma poco ne ha l’attuale realizzazione. E allora il timore di un giornale solo vetrina di ogni iniziativa estranea all’informazione (dal marketing, alla pubblicità, alla formazione) è tutt’altro che infondato, piuttosto realtà di ogni giorno.
Il Comitato di redazione del Sole 24 Ore

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