Potrebbe essere l’alba di una nuova era nella terapia dell’artrite reumatoide, quella annunciata dai risultati di una ricerca italo-tedesca pubblicata su Nature Medicine e siglata dal gruppo della di Maria Antonietta D’Agostino, direttore della UOC di Reumatologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ordinario di Reumatologia all’Università Cattolica e del professor Georg Schett dell’Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga (FAU). 

L’artrite reumatoide

L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune infiammatoria che colpisce le articolazioni e porta ad una loro distruzione progressiva e a disabilità. Protagoniste della sua patogenesi sono le cellule B che producono in maniera incontrollata anticorpi diretti contro i tessuti delle articolazioni. A soffrire di questa malattia sono oltre 410 mila di italiani (8 su 10 sono donne), il 40 per cento dei quali in forma grave. Oltre metà delle forme gravi presenta resistenza alle terapie oggi disponibili. Fondamentale è diagnosticare la malattia prima che arrivi a far danni irreversibili, iniziando subito un trattamento con i tanti farmaci a disposizione. Ma le persone affette dalle forme più gravi spesso sono resistenti ai farmaci, anche di ultima generazione. Ecco perché i risultati di questo studio aprono le porte alla speranza di un trattamento anche per i casi più complessi e difficili. 

Lo studio

Lo studio esplora un nuovo possibile approccio terapeutico a questa malattia autoimmune, che consiste nell’organizzare una sorta di appuntamento al buio tra le cellule B e le cellule T, le due protagoniste della risposta immunitaria; incontro che si conclude con l’eliminazione delle cellule B malate (cioè quelle che producono gli anticorpi responsabili dell’infiammazione e della distruzione delle articolazioni), da parte delle cellule T suppressor. A realizzare questo effetto è il blinatumomab (o BLINA), un immunoterapico già utilizzato per il trattamento di alcuni tumori del sangue. Nel caso dell’artrite reumatoide il suo impiego è sperimentale, ma in questa ricerca ha ottenuto un effetto straordinario e inedito sul piano del risultato terapeutico. “Nei sei pazienti con artrite reumatoide multi-resistente al trattamento, ai quali è stato somministrato in via compassionevole e sperimentale – spiega la professoressa D’Agostino, – ha prodotto un rapido declino dell’attività di malattia, riducendo il livello di anticorpi circolanti e migliorando l’infiammazione dei tessuti sinoviali. La terapia è stata molto ben tollerata”. 

I risultati

Sofisticate analisi di laboratorio hanno confermato che il miglioramento clinico è dovuto ad un ‘reset’ immunitario, consistente nell’eliminazione delle cellule B ‘cattive’, che vengono rimpiazzate da cellule B ‘buone’. “Questi risultati, molto promettenti per l’entità della risposta e la tollerabilità del farmaco – commenta la professoressa D’Agostino – suggeriscono la potenziale utilità di questo approccio terapeutico nelle forme più gravi di artrite reumatoide, resistenti alla terapia e potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova era di trattamento per altre malattie autoimmuni mediate dalle cellule B, dal lupus, alla sclerodermia. 

Prospettive future

La via del T-cell engager per distruggere i linfociti B, produttori di auto-anticorpi, potrebbe dunque portare ad una nuova maniera di aggredire le patologie autoimmuni, sfruttando l’azione del nostro stesso sistema immunitario. È lo stesso concetto utilizzato dalla terapia con CAR-T, nella quale i linfociti T vengono ‘attivati’ per distruggere i linfociti B auto-reattivi”. 

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