Produzione in calo del 70% per le vongole veraci e prospettive incerte anche per il futuro: mentre la macchina governativa dei ristori ai consorzi danneggiati dal granchio blu si rimette in moto, il comparto della molluschicoltura lancia l’allarme: in gioco c’è la sopravvivenza di tutta la filiera. «La produzione media di 30mila tonnellate annue si è drasticamente ridimensionata – commenta Eraldo Rambaldi, direttore Ama, l’associazione mediterranea acquacoltori – e le previsioni sono drammatiche anche per il prossimo biennio, considerata l’assenza di seme, anch’esso vittima dei predatori».

Ad Aquafarm, la mostra-convegno internazionale sull’acquacoltura e l’industria della pesca sostenibile, organizzata da Pordenone Fiere in collaborazione con Associazione piscicoltori italiani e Ama, la preoccupazione è tangibile: intere aree dedicate alla venericoltura nell’Alto Adriatico sono state annientate dalla specie aliena invasiva. I Consorzi di Goro e Scardovari stimano perdite di almeno 120 milioni di euro solo di produzione, mentre l’impatto su tutto l’indotto è stimato in 400-500 milioni di euro. Nell’area di Scardovari la raccolta di vongole veraci (la produzione più colpita dal predatore) a dicembre è stata di 160 quintali, contro la media, negli ultimi dieci anni, di 12mila-15mila quintali. Pochi giorni fa – conferma Ligino Marchesini, il presidente – il Consorzio di pescatori afferente ha comunicato ufficialmente di aver sospeso l’attività di pesca fino a data da destinarsi. Goro lo farà a giorni.

«Oltre 3.200 pescatori tra Goro, Comacchio e Scardovari sono rimasti senza reddito – dice Massimo Genari, direttore del Consorzio pescatori di Goro – e la situazione non è migliore tra la aziende che commercializzano il prodotto, che hanno messo in cassa integrazione i propri dipendenti». La voracità del granchio blu ha scoraggiato anche le semine per le prossime produzioni, che si sono limitate al minimo, nella prospettiva di sperimentare la reazione del predatore rispetto ai vivai che, nel frattempo, sono stati installati a scopo difensivo.

Non convince neanche quello storytelling che ha imperversato lo scorso anno, che vedrebbe nel granchio blu in una opportunità: secondo studi presentati dall’Università di Palermo solo il 20% della polpa sarebbe edibile, a fronte di una raccolta – che avviene a mano – estremamente dispendiosa della polpa, tant’è che due tra i trasformatori più rappresentativi del comparto avrebbero rinunciato. E i consorzi insistono nel chiedere al ministero dell’Agricoltura di attivarsi con il Governo per lo stato di emergenza.

Diversamente l’opportunità di business, su piccola scala, è stata intercettata da chi, coraggiosamente, è partito da zero. È il caso di Blueat, start up tutta la femminile, che dal nulla ha messo in piedi una linea di trasformazione specializzata sulla polpa del carapace, attraverso la costituzione di micro filiere nate da accordi con le cooperative dei pescatori, i gestori dei mercati di pesce, le aziende locali di trasformazione e conserviere. «Nel 2023 – commenta la pr manager, Alice Pari – abbiamo acquistato dalla piccola pesca adriatica circa 162 tonnellate di granchio blu, contribuendo al prelievo sostenibile di circa 1,6 milioni di esemplari». L’azienda ha già finalizzato rapporti commerciali con due clienti Usa e due coreani, è presente in Italia nei supermercati Italmark e Pam e debutterà entro la primavera in Coop con polpette, sughi e maionese a base di granchio blu. Il sogno, rivela Alice Pari, è quello di portare sul mercato un packaging a base di bioplastiche compostabili derivate dagli scarti del granchio. «Ci stiamo lavorando» dice.

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