«I fiori d’inverno non esistono in natura: li ho inventati io», dice Giorgio Armani sorridendo a conclusione della sfilata con la quale domenica si è chiusa la settimana milanese della moda, breve ma intensa. Una edizione particolarmente rigorosa, dal punto di vista estetico: poco esuberante, segnata da una sobrietà per nulla incline al rischio, semmai tendente al cupo, di certo conservatrice: le difficoltà del mercato e il clima mondiale non certo pacifico influiscono. Sempre più romantico al passare degli anni, ma mai sdolcinato, Armani si unisce al contingente di quanti predicano la gentilezza come antidoto ai tempi foschi. La collezione è un trattato di resistenza soft alla disperazione, pur essendo in larga parte tinta di blu notte e nero, perché, afferma Armani incrollabile, «il nero è un colore meraviglioso che dona a tutte». Il suo è però un nero luminoso, acceso dai bagliori lustri del velluto, punteggiato dai colori dei fiori che si posano su tutto insieme a ricami di libellule. «Un messaggio di speranza, e di rispetto per l’ambiente», prosegue, facendosi anche promotore della settimana di Milano; ha mandato una lettera alla Camera della moda per chiedere un giorno in più. Speranza, cura dell’ambiente ma ancora e sempre un’idea di stile, che accompagna gentilmente la persona, che si evolve con coerenza. Dal soft tailoring agli echi orientali, c’è tutto Armani in questa nuova prova, con una morbidezza pittorica che è di oggi.

È morbida e avvolgente la collezione di Loro Piana, marchio legato da sempre all’eccellenza tessile italiana ma finora relegato alla nicchia degli estimatori ed eruditi. L’onda lunga del quiet luxury ne ha fatto invece un must, calamitando attenzioni che sono però gestite con la discrezione di sempre. Ovvero, Loro Piana corteggia la moda, ma lo fa da lontano, con precisione e poesia, e il risultato è ineffabile.

Da Bottega Veneta, Matthieu Blazy pensa alla quotidianità, che munumentalizza a suon di volumi astratti, materiali pregiati, artigianalità sopraffina. È una delle sue prove migliori per il marchio: mossa nell’espressione – fin dall’inizio del mandato, Blazy insiste nel creare show che, per la varietà apparentemente incoerente dei caratteri che li popolano e di quel che indossano, imitano la varia umanità di una strada o di una piazza – ma tesa e diretta; alta nel tono ma finalmente scevra da virtuosismi che rischiavano di apparire stucchevoli. È l’inizio di un percorso promettente: se alleggerisse ancora di piú – alcuni look avevano in vero un volume e una solennità monumentali – Blazy riuscirebbe davvero a toccare una corda unica, a modernizzare l’aspetto artigianale, a creare una versione nuova di lusso italiano.

Gabriele Colangelo, da Giada, marchio italiano di proprietà cinese, rimane fedele ad una idea di purezza assoluta che sempre piú, però, acquista sensualità. Anche lui è un virtuoso delle lavorazioni. A questo giro, le pelli leggerissime rese trasparenti da minuscoli intagli sono la perfetta espressione di un gusto fatto di sottrazioni ma non di rinunce, epurato all’essenza eppure vibrante. Andrea Adamo è altro araldo del grado zero: immagina abiti come una seconda pelle, che della pelle hanno anche i colori, in una idea di nudità vestita che è piena di carattere. Da Luisa Spagnoli si lavora su una idea di seduzione che è ingenua e spontanea. Le modelle calzano scarpe piatte con il cinturino e grossi calzettoni a coste, sulla testa un berretto di lana colorata; le gambe, invece, sono nude, scoperte dagli orli corti. È una prova ricca di charme, con la concretezza sul prodotto – molto curata la maglieria, così come il tailoring – che è il motivo di un duraturo successo presso un pubblico trasversale.

Chiara Boni, in fine, rievoca gli anni Sessanta di Biba e della Londra nella quale tutte le classi sociali si mescolavano in uno swinging liberatorio e mai visto. Lo fa sulla scia dei ricordi personali, già rievocati in una autobiografia di recente pubblicazione, raccontando l’incontro con lo stile come ribellione da parte di una giovane italiana ben educata. La collezione conserva quello spirito, ed è forse più Vivienne Westwood che Biba, con un gusto del bello tutto italiano.

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