Il riferimento numerico sul mercato dei data center in Italia che più può dare la misura algebrica del cambiamento e della crescita è quello che fotografa la differenza nella mole di investimenti nel quadriennio 2019-2023 messa a confronto con gli impegni previsti per il 2024-2028. Si parla di 1,6 miliardi nel primo caso. E di 4,8 miliardi per gli investimenti previsti da qui al 2028. In sostanza triplicati.

«Sono numeri importanti. Ma faccio presente che solo da qui a 18 mesi gli investimenti previsti sono nell’ordine del miliardo di euro per una ventina di progetti. E non si tratta di un numero indifferente dal momento che il moltiplicatore per l’economia, rispetto agli investimenti nei data center, è di uno a dieci. Dunque un miliardo di investimenti equivale a 10 miliardi di ricadute per l’economia». A dirlo è Emmanuel Becker, ad di Equinix e presidente di Ida-Italian Datacenter Association: l’associazione italiana dei costruttori e operatori di data center che conta più circa 120 società associate per una rappresentatività del mercato italiano di settore superiore al 90% e per un fatturato totale superiore ai 5 miliardi di euro.

Un’associazione nata a fine 2022 in rappresentanza di un settore in grande espansione determinata, inevitabilmente, dalla crescita della domanda di servizi digitali da parte di consumatori, imprese e settore pubblico, come dalla digitalizzazione dei processi aziendali.

I data center, le reti e le infrastrutture elettriche sono fondamentali per sostenere questa crescita. Che si riflette anche in numeri non indifferenti per quanto riguarda il versante occupazionale. Secondo l’analisi dell’associazione, messa nero su bianco in un documento di fine marzo, i data center in Italia garantiscono 28.170 posti di lavoro in Italia. Di questi 8mila sono occupati diretti e 13.500 nella catena del valore indiretta. Del resto, segnala l’associazione, la creazione indiretta di posti di lavoro è dovuta al fatto che oltre alle attività di costruzione e installazione, per i data center c’è spesso necessità di assumere personale esterno per la sicurezza o per tutta un’altra serie di ruoli di supporto operativo e manutentivo. Altri posti di lavoro vengono creati in settori come l’ospitalità, i trasporti, i servizi pubblici. A completare il quadro ci sono gli oltre 6.700 addetti impiegati nell’indotto.

Tutto un novero, insomma, funzionale a una crescita, non solo economica, che può riguardare uno spazio largo che va dalle filiere locali – soprattutto quelle che si occuperanno dei cantieri per lo sviluppo futuro – fino ai Comuni che ne beneficeranno per potenziare i servizi ai cittadini. «Finora – spiega Becker al Sole 24 Ore – non abbiamo avuto problematiche sul fronte dei profili lavorativi e delle competenze. A questo punto però lo sviluppo è tale che rischiamo di avere penuria di personale specializzato. Non a caso come associazione, in collaborazione con alcune università, abbiamo messo a disposizione borse di studio ad hoc».

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