Il virus ha già «dimostrato la capacità di compiere alcuni passi evolutivi verso l’adattamento ai mammiferi», specificano Ecdc ed Efsa. Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Inoltre, sembra particolarmente in grado di combinarsi con altri virus circolanti, una caratteristica, quest’ultima, che potrebbe conferirgli ulteriori caratteristiche vantaggiose per diffondersi nei mammiferi. Ciò gli ha già consentito di infettare un’ampia gamma di mammiferi selvatici e di causare piccole epidemie anche in animali da compagnia, come i gatti. Nonostante ciò, non ci sono al momento prove di trasmissione da mammifero a mammifero.

«Ci sono centinaia di casi in letteratura di infezioni da H5N1 passata da volatili a uomo. È certo che questo passaggio in Usa da un mammifero ad uomo è un segnale di adattamento del virus che crea preoccupazione» spiega Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit, Società italiana malattie infettive e tropicali, commentando il secondo caso umano di aviaria negli Stati Uniti in un lavoratore del settore lattiero-caseario che era entrato in contatto con bovini infetti.

L’influenza aviaria potrebbe quindi essere la prossima malattia X che porterà una pandemia? «La mortalità per questo virus è intorno al 50% quindi potrebbe essere la malattia X, i virus influenzali aviari sono gli indiziati numero uno e i più temuti – risponde Andreoni – I virus H5N1 e H7N9 sono quelli più pericolosi, il secondo ha una mortalità intorno al 30%, è chiaro che se diventasse possibile una loro trasmissione da uomo a uomo, al momento mai confermata, potrebbero essere molto dannosi».

Per il virolo Fabrizio Pregliasco, docente dell’università Statale di Milano, il caso umano di influenza aviaria identificato in Texas «non deve creare allarmismo. Sappiamo già che diversi mammiferi possono infettarsi. Non sono però ospiti preferenziali dei virus aviari e in molti casi non presentano sintomi. Ogni specie ha comunque dei recettori per questi virus, anche noi esseri umani».

Questi contagi nell’uomo «sono casi ad oggi isolati – sottolinea Pregliasco – limitati a persone che hanno avuto contatti stretti con animali infetti”. Guardiamo l’aspetto positivo: grazie all’attenzione delle reti di laboratorio, e a una maggiore sensibilità che per certi versi possiamo leggere come un’eredità positiva del Covid, riusciamo a individuare anche casi che, se non ci fosse stata questa attenzione, sarebbero stati archiviati come “banali infreddature”. Significa che il sistema di allerta funziona ed è molto molto sensibile.

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