I medici che lavorano per il Servizio sanitario nazionale potranno restare a lavoro fino ai 72 anni di età: la scelta sarà su base volontaria, ma il camice bianco potrà rimanere in corsia fino al massimo al 31 dicembre 2025. Ma con una condizione fondamentale: chi deciderà di rinviare la pensione non potrà mantenere o assumere incarichi dirigenziali apicali (fare il primario in sostanza). Potrà tornare in servizio anche chi è andato in pensione dal 1 settembre del 2023. Questa in sintesi la misura approvata al decreto milleproroghe. Ma vediamo più nel dettaglio la nuova norma che estende l’età pensionabile dei sanitari.

La platea dei medici a cui è rivolta la misura

La norma come detto prevede la possibilità per «le aziende del Servizio sanitario nazionale, fino al 31 dicembre 2025» di poter «trattenere in servizio, su istanza degli interessati, i dirigenti medici e sanitari dipendenti del Servizio sanitario nazionale». Oggi al massimo possono restare fino ai 70 anni d’età ma sempre dietro l’autorizzazione dell’Asl. Il loro impiego sarà utile «anche» per far fronte «alle esigenze di formazione e tutoraggio del personale»: in pratica i medici senior potranno aiutare i più giovani. Ma ovviamente potranno tornare a fare assistenza per «fronteggiare la grave carenza di personale» nelle corsie. La norma riguarda non solo i camici bianchi che lavorano nelle Asl, ma anche i dirigenti medici e sanitari del ministero della Salute («all’articolo 17, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 3») e soprattutto i «docenti universitari che svolgono attività assistenziali in medicina e chirurgia».

Le condizioni per poter rinviare la pensione e i “richiamabili”

Tra i paletti principali c’è il fatto che chi deciderà di rinviare la pensione non potrà mantenere o assumere incarichi dirigenziali apicali «di struttura complessa o dipartimentale o di livello generale», in poche parole chi fa il primario dovrà rinunciare all’incarico. Non è tutto perché la misura consente anche di “richiamare” chi è già andato in pensione sempre «fino al compimento del settantaduesimo anno di età e comunque non oltre il 31 dicembre 2025»: si tratta in particolare del personale «collocato in quiescenza a decorrere dal 1° settembre 2023 avendo maturato i requisiti anagrafici e contributivi per il pensionamento di vecchiaia». Chi torna in servizio dovrà però optare «per il mantenimento del trattamento previdenziale già in godimento ovvero per l’erogazione della retribuzione connessa all’incarico da conferire». Un punto questo da chiarire bene sul quale molto probabilmente dovrà intervenire una circolare esplicativa da parte dei ministeri della Salute e del Lavoro.

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