Nel 2000 Enzo Biagi è nominato delegato del Rettore di Modena per l’orientamento al lavoro. In quella veste lavorava insieme a Paola Reggiani Gelmini, Direttore Amministrativo dell’Ateneo, e ai rappresentanti delle parti sociali locali a un accordo sulla occupabilità che sarà sottoscritto poco dopo la sua scomparsa, l’8 aprile del 2002.

L’attentato

La sera del 19 marzo 2002, dopo che Biagi, come ogni sera, percorre in bicicletta il tratto di strada che separa la stazione di Bologna dalla sua abitazione di via Valdonica, un commando di brigatisti lo blocca di fronte al portone della sua casa, al civico 14. I terroristi, con indosso caschi integrali, aprono il fuoco per poi allontanarsi velocemente.

La morte e la rivendicazione

Colpito da sei proiettili, alle 20:15 Biagi muore tra le braccia dei medici del 118. La rivendicazione, a firma Nuove Brigate Rosse, viene inviata quella stessa notte a diverse agenzie e quotidiani e fa riferimento a una nuova precisa strategia dell’organizzazione terroristica, volta a colpire uomini dello stato legati ad un contesto di ristrutturazione del mercato del lavoro.

Le polemiche sulla revoca della scorta

La sua morte fa prendere coscienza che il rischio del terrorismo per l’Italia e per Bologna non è ancora chiuso e la memoria è stata a lungo accompagnata da polemiche, puntate sul fatto che un uomo ucciso in un attacco eversivo allo Stato, dallo stesso Stato non era stato sufficientemente protetto, dal momento che la scorta gli era stata revocata.

Le condanne all’ergastolo

I processi sull’omicidio si sono conclusi nel 2009 con la sesta e ultima condanna, di Diana Blefari Melazzi, suicida in cella poco dopo la sentenza definitiva del carcere a vita. Condanne all’ergastolo erano arrivate prima anche per Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma; 21 anni per Simone Boccaccini e dieci anni, cinque mesi e dieci giorni per la pentita, Cinzia Banelli.

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