Sarà per il suo marchio storico e il fascino che emana, sarà per il welfare che consente di migliorare gli equilibri vita lavoro con la storica Formula benessere, ma anche per le retribuzioni e i premi legati ai risultati (il bonus 2024 potrà superare i 17mila euro), così come per la partecipazione dei lavoratori, grazie al recente piano di azionariato, che Ferrari continua ad essere il datore di lavoro ideale per gli italiani. A confermare la Casa automobilistica di Maranello in vetta alla classifica delle aziende più attrattive è la Randstad employer brand research, la ricerca svolta dalla maggiore multinazionale dei servizi per il lavoro che ha interrogato a livello globale 173mila lavoratori, di cui 7mila in Italia, sottoponendo loro una rosa di 150 società che sono conosciute da almeno il 10% della popolazione. E aggiungendo una serie di quesiti su cosa cercano nel datore di lavoro ideale e sulle loro aspettative.
La scelta di Ferrari
In Italia, il 71,32% dei lavoratori ha indicato la Ferrari per fattori chiave come solidità finanziaria, reputazione, sicurezza del lavoro a lungo termine. Michele Antoniazzi, chief human resources officer di Ferrari, considera il riconoscimento come «la conferma di un impegno costante per le nostre persone, nonché della nostra comprensione delle loro aspirazioni e aspettative». Uno stimolo in più per rafforzare ulteriormente i pilastri della gestione delle risorse umane della società dove tra le priorità si trovano temi come il merito, la crescita, ma anche la diversità, l’uguaglianza, l’inclusione. Antoniazzi sottolinea l’importanza di «valorizzare la diversità e l’uguaglianza di genere non solo in termini salariali, ma anche garantendo a tutti i nostri dipendenti le stesse opportunità di crescita professionale basandoci esclusivamente sul merito. Il riconoscimento di Randstad ci motiva a proseguire i nostri sforzi per un ambiente di lavoro inclusivo e gratificante per tutti».
L’identikit del datore di lavoro ideale
Quando le persone parlano del datore di lavoro ideale la qualità della vita che è in grado di offrire viene prima della retribuzione. Va però detto che la retribuzione è il principale motivo per cui si decide di cambiare lavoro. «Secondo la nostra indagine – ci spiega il group ceo di Randstad, Marco Ceresa – gli italiani oggi ricercano in un nuovo lavoro soprattutto benessere e conciliazione con la vita personale, anche se l’aspetto economico è tutt’altro che secondario in un contesto di forte inflazione . È molto importante analizzare questi risultati in un momento di cambiamento, che investe soprattutto le aspettative dei lavoratori. Emergono ampie divergenze di percezione tra donne e uomini e tra generazioni, a dimostrazione delle diverse dinamiche in evoluzione nelle organizzazioni, che i datori di lavoro devono analizzare con attenzione per adattare strategie di reclutamento, fidelizzazione e sviluppo dei talenti». Ma vediamo cosa dicono i numeri allora. Nella scelta del datore di lavoro ideale, i potenziali dipendenti mettono al primo posto l’equilibrio tra lavoro e vita privata, come dice il 62% di loro. Al secondo posto viene l’atmosfera di lavoro piacevole, come dice il 60%, mentre al terzo retribuzioni e benefit interessanti (57%). Tra le priorità seguono la sicurezza del lavoro (51%) e l’avanzamento di carriera (49%). I settori più attrattivi sono i media come dice il 62% degli italiani, l’automotive (60%) e l’industria aeronautica (58%), seguiti da farmaceutico, elettronica, spedizioni e ICT.
Le ragioni per cambiare lavoro
Se è vero che l’equilibrio vita lavoro è tra le priorità dei lavoratori, seppure in maniera diversa per uomini e donne, il primo motivo per cui si cambia lavoro è la retribuzione. La propensione a cambiare lavoro rimane stabile, sia nella percentuale che nelle fasce di età: il 12% degli italiani ha cambiato lavoro negli ultimi 6 mesi, mentre il 24% intende farlo a breve: stiamo quindi parlando di quasi un terzo dei lavoratori intervistati. A voler cambiare sono soprattutto la Gen Z e i Millennials. La prima ragione per cui si cambia lavoro è la retribuzione insufficiente al costo della vita, secondo quanto afferma il 41% degli intervistati: una ragione valida soprattutto per le donne. Seguono il miglioramento dell’equilibrio vita-lavoro (36%) e la mancanza di opportunità di crescita (29%). Andando a vedere come si muovono in più giovani si scopre un assetto valoriale e un approccio al lavoro diverso: per i Millennials l’equilibrio tra lavoro e vita privata è la principale motivazione, mentre per la Gen Z pesa maggiormente il tema dell’equità. A proposito di equità, si tratta di un tema molto sentito dalle persone: circa il 20% dei lavoratori infatti si identifica in una minoranza di genere, orientamento sessuale, etnia/nazionalità, religione, disabilità o altre caratteristiche. Nonostante questo i datori di lavoro attuali, secondo quanto affermano i lavoratori intervistati, non considerano il tema strategico: solo il 49% garantisce infatti la stessa retribuzione a tutti per lo stesso lavoro, il 47% valorizza attributi, caratteristiche, competenze, esperienza e background distintivi, appena il 39% dà valutazioni “oneste” su assunzioni o avanzamenti di carriera e il 38% assegna per merito le migliori opportunità. A proposito di percorsi di crescita, la formazione viene considerata strategica da molti lavoratori: ben l’80% di quelli intervistati parla di strategicità di questo tema, ma dice anche che l’offerta di formazione non soddisfa le esigenze della forza lavoro: meno della metà (47%) ritiene che vengano offerte opportunità di crescita nel ruolo attuale.
La questione retributiva
Se è vero che gli ultimi dati Istat, a partire dalla fine del 2023 hanno evidenziato un rallentamento della dinamica inflattiva e una lieve ripresa del potere di acquisto delle persone, la questione retributiva resta sempre centrale, soprattutto per chi è in una fase della vita caratterizzata da carichi finanziari e familiari che costringono più a pensare a quanto si guadagna che al benessere sul luogo di lavoro. Di fronte all’aumento del costo della vita negli ultimi due anni, quasi la metà dei lavoratori intervistati, il 45%, ha detto di non aver ricevuto alcun supporto dal proprio datore di lavoro. E’ proprio tra questi lavoratori che aumenta la propensione a cercare un altro lavoro, rispetto a coloro che hanno ricevuto una qualche forma di sostegno. Sono però meno di un quinto, il 18%, coloro che hanno ricevuto un aumento che ha compensato parzialmente l’inflazione, mentre il 16% parla di una somma una tantum e solo l’8% dice di avere ottenuto un aumento che ha coperto completamente i costi crescenti.