Il momento in cui nelle fabbriche vedremo robot come quelli di Boston Dynamics o di start up come Sanctuary AI, simili a uomini, e in più capaci di ragionare con una autonomia come quelle dei più avanzati bot di intelligenza artificiale generativa, non è dietro l’angolo.
«Se oggi un agente di Ia è in grado di competere con le capacità cognitive di un essere umano, paradossalmente un robot si trova in difficoltà ad eseguire compiti di manipolazione che sono alla portata di un bambino. Il punto è che quando l’IA deve fare i conti con la realtà fisica, il gap che la tecnologia mostra rispetto alle capacità umane è ancora significativo» ha spiegato Donatella Sciuto, rettrice del Politecnico di Milano, tra i relatori del panel «L’utilizzo dei robot umanoidi in fabbrica e le regole necessarie» al Festival dell’Economia in corso a Trento.
Ma se i robot basati su intelligenza artificiale sono la prossima frontiera, l’industria manifatturiera utilizza l’automazione da molti anni, e in questo l’Italia è il sesto mercato mondiale, il secondo europeo (World Robotics 2023). «La storia dei robot è molto lunga. L’applicazione di quelli umanoidi è ancora parziale anche se c’è stata una accelerazione – commenta Marco Bentivogli, coordinatore di Base Italia, già leader di Fim Cisl – I robot fanno molto bene al lavoro, basta pensare che i paesi più avanti nella robotica sono quelli con il tasso di disoccupazione più bassa. Oggi le cose più pregiate dal punto di vista professionale vengono lasciate all’umano. Ad esempio si trovano tante ragazze in aziende metalmeccaniche nell’assemblaggio, perché la parte robotica cancella quella più faticosa. L’innovazione in questi casi logora chi non la fa. La tecnofobia è più forte più ti allontani da una fabbrica. Lì sono felici che arrivino le macchine».
Fulvio Giorgi, amministratore delegato Imq, azienda che si occupa di valutazioni di conformità, fa un quadro delle regole: «Nell’ambito della robotica più tradizionale le regole sono ben definite, per quanto in evoluzione. Il secondo ambito, quello dell’Ai, invece, è un po’ meno definito e soprattutto caratterizzato da rapidissimi sviluppi, a cui la normativa fatica a tenere il passo. Qui lo sforzo è di costruire la fiducia nell’Ia, di assicurare la sua affidabilità e accettazione sociale. Il terzo livello è quello dell’antropomorfismo: in questo caso non esistono regolamenti o norme specifiche, se non quelle che si riferiscono alla sicurezza dei materiali utilizzati per dare al robot un aspetto umano».
Sul tema formazione, Donatella Sciuto osserva come lo sviluppo di queste piattaforme tecnologiche complesse richieda competenze ingegneristiche di altissimo livello: « L’esperto deve saper dialogare con chi conosce a fondo le discipline contigue, per cogliere le conseguenze delle singole scelte progettuali: aspetti giuridici, etici, socio economici».